LA STORIA DEL CARNEVALE DI CENTO

INTRODUZIONE: IL CARNEVALE DI CENTO COME RITO COLLETTIVO

Il Carnevale di Cento offre un osservatorio interessante da una prospettiva sociologica in quanto rientra a pieno titolo tra i riti collettivi annuali e può essere letto come complesso evento rituale culturale, nel quale le rappresentazioni simboliche assumono forma nella reciprocità delle interazioni dei partecipanti in una variegata rete di significati e di realtà multiple.

Il luogo di svolgimento dell’annuale appuntamento carnevalesco centese sono le vie principali della città, compresa Piazza Guercino in cui l’evento trova la sua massima espressione. La comunità centese, infatti, ripete annualmente un rito istituzionalizzato confermandone le rappresentazioni dominanti, intessendo nuove forme di reciprocità, grazie alla partecipazione non solo dei propri cittadini ma anche di spettatori estranei alla comunità centese, integrando la tradizione carnevalesca con l’organizzazione di eventi collaterali con la partecipazione di personaggi popolari del mondo dello spettacolo. L’evento carnevalesco nel suo insieme corrisponde all’occasione per fare qualcosa di diverso dal solito, momento in cui si sovvertono le regole dell’ordine sociale. Questo passaggio o meglio questo salto dalla quotidianità al mondo di sogno.

IL CARNEVALE DI CENTO: UN PO’ DI STORIA

Costantemente annoverato dalle testate giornalistiche e dai media tra le feste assolutamente da non perdere, Cento Carnevale d’Europa è fortemente legato al territorio in cui si svolge appartiene a quella categoria di celebrazioni proprie della tradizione locale, divenuto brand e icona della comunità che lo sostiene e lo ospita.

Il Carnevale di Cento, riconosciuto ufficialmente dal MiC come Carnevale Storico, testimonia una passione cittadina mantenutasi inalterata quasi ininterrottamente fino ad oggi. Si riportano notizie del Carnevale già nei documenti del ‘500 quando i festeggiamenti goliardici coincidevano con la celebrazione della Festa del Berlingaccio: le strade si affollavano di maschere in occasione del Giovedì grasso fino a tutto il 1866. Tra ‘500 e ‘600 il fervore culturale centese riuscirà a coinvolgere anche le Accademie letterarie che si cimenteranno durante il carnevale in giostre. Agli inizi del ‘600 sarà il pittore locale Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino (1591-1666) a documentare iconograficamente le cerimonie carnevalesche raffigurando in una serie di affreschi commissionati per Casa Pannini la Piazza affollata da musicanti e personaggi mascherati, il ballo del Giovedì Grasso nel Palazzo consolare e un torneo di cavalieri armati sulla via che conduce a Porta Molina.
Il Carnevale subisce tra il 1629 e il 1631 una battuta d’arresto a causa delle devastanti epidemie e carestie. Nel 1632 la cittadina riprende i festeggiamenti carnevaleschi che “(…) danno diletto e piacere non solo alli Terrieri, ma anco a’ forestieri”.
Ulteriore menzione di maschere e lunghi festeggiamenti carnevaleschi si trova nei documenti del XVIII e XIX secolo. Nell’800, in particolare, alle feste popolari di strada animate da mascheroni in cartapesta si aggiungono i veglioni di Carnevale riservati alle classi sociali più elevate. I grandi carri allegorici con le figure compaiono nel XIX secolo, in particolare nel 1870, quando sfilò il primo corteo di carri con imponenti figure in cartapesta grazie all’organizzazione della Società Carnevalesca Progresso dando avvio al carnevale moderno.

LA MASCHERA DEL CARNEVALE DI CENTO: TASI

All’inizio del ‘900 i centesi introducono il Re del Carnevale, Tasi, ispirandosi a Luigi Tasini un contadino dell’epoca, tipo biondiccio e non molto alto. Tasi, ingegnoso costruttore di “cose meccaniche”, affettato nell’incedere, gran parlatore “ di tutte le lingue che la sua fantasia gli sapeva suggerire, e di solito in lingua italiana”, ha sostituito la bisbetica moglie Luigia con una volpe da cui non si separa mai e che tiene legata a sé con una catenella. A conclusione del Carnevale, prima che la sua maschera venga bruciata, Tasi durante la lettura del suo Testamento, lasciando i suoi buoni alla città di Cento, elogerà i centesi che si sono distinti in diversi ambiti e svergognerà mettendo alla berlina coloro che non hanno tenuto un comportamento corretto.

IL CARNEVALE DI CENTO: TRA ENTUSIASMO E FOLLIA

Risalgono ai primi anni del ‘900 le notizie sui primi carri con imponenti figure di cartapesta trainati dai buoi successivamente sostituiti dai trattori. Dopo la forzata interruzione a causa degli eventi bellici, nel 1947 il Carnevale riprende il suo corso:

“A Cento vennero ripresi i corsi mascherati (…). In sordina vennero allestiti i carri allegorici; (…). Ed una domenica di Febbraio del 1947 la città impazzì: le austere case di Cento si riaprirono, imbandite ed infiorate, pronte a fare da scenario festoso al carnevale della pace. L’antico centro si rianimò improvvisamente di colori, di suoni, di grida gioiose di grandi e di bambini. I carri avanzavano, col loro incedere lento e maestoso, dalla Rocca verso la piazza fra ali di folla entusiasta.”

Il Carnevale a Cento ben presto si trasforma, tra entusiasmo e follia collettiva dei visitatori, in una gara tra le società carnevalesche per il carro più suggestivo, con tanto di norme per lo svolgimento della competizione e con un calendario di date ufficiali delle manifestazioni. Negli anni ’60 l’organizzazione del Carnevale passa nelle mani istituzionali della Pro Loco, la quale contribuirà a procurare alle Società carnevalesche degli spazi adeguati per l’allestimento dei carri, gli hangar.

Le giganti figure di cartapesta, anzi di carta pestata o pigiata continuano anche oggi ad essere prodotte dalle mani esperte dei mastri cartapestai, che volontariamente, dedicano la loro passione e il loro tempo da un Carnevale all’altro per tutto l’anno all’ideazione, progettazione e realizzazione dei carri allegorici e dei loro complessi movimenti meccanici.

Le straordinarie, imponenti e coloratissime figure semoventi, precedute da folte schiere di figuranti in altrettanti colorati costumi, sono trainate da potenti trattori e sfilano rasentando gli edifici che costeggiano le strette vie del centro storico: da Piazzale Bonzagni lungo corso Guercino, passando per la Piazza centrale e proseguendo fino alla Rocca.

IL GETTITO: UNA TRADIZIONE ATTUALE

Caratteristica del Carnevale centese è durante la sfilata il “gettito” dalle torrette dei carri: si tratta del lancio di doni di diverso tipo (peluches, salvagenti…). La sfilata raggiunge il suo culmine attraversando Piazza Guercino di fronte alla giuria, che alla fine delle cinque domeniche di sfilata proclamerà il carro vincitore.

Con l’avvicendarsi delle manifestazioni, il gettito si perfeziona sempre più, prima incentivando la distribuzione di quantitativi esorbitanti di caramelle e di dolciumi e, quindi, integrandolo con altri prodotti, che riscuoteranno un indescrivibile successo popolare. questi lanci non passarono inosservati e infatti Antonio Casanova, per anni punto di riferimento del Carnevale e della Pro Loco, fece presente in un’intervista ad un quotidiano che il 30% di spese delle Associazioni Carnevalesche sostenute da ogni società è costituito dai “doni che verranno lanciati verso il pubblico durante la sfilata: A questa tradizione, soprattutto, i centesi sono particolarmente affezionati in quanto se ne ritengono inventori assoluti; il gettito effettuato in gran parte con bambole, palloni, pupazzi di pelouche, caramelle e cioccolatini, vuole esprimere la riconoscenza di tutta la cittadinanza per gli intervenuti, tant’è vero che spesso, anche i privati, sull’onda dell’entusiasmo, lanciando doni dalle finestre e dalle terrazze. In questo clima di tripudio pochi badano alle spese.”

Con toni analoghi, ma con qualche spunto ironico, un altro articolo descrive il rapporto tra gettito, sfilate e pubblico: “il carro avanza raso muro, oscurando i portici, impuntandosi contro i balconi con le sue propaggini di cartapesta. Sopra ballano, suonano, lanciano caramelle, palloni, bambole, panettoni e bustine di lievito perchè così uno si possa preparare a casa il dolce che vuole. […] E la gente ci sta […]. È l’Italia fuori di porta; un’Italia dai gusti più semplici, dagli entusiasmi più facili. questa è roba fina, sento dire da un ragazzotto che trascina la ragazza in prima fila, questa è roba estera. Sul tappeto di coriandoli stanno sgambettando volonterosamente le majorettes, una ventina di chepì sovrastanti, gambe, seni e facciozze piene di salute che più emiliane di così potrebbero essere soltanto romagnole. Ma è il sogno che conta.”

I FUNERALI GOLIARDICI

Nel corso degli anni, le manifestazioni centesi si sono particolarmente connotate per il proiettare i loro messaggi comunicativi verso l’esterno, con una comprensibile finalità turistica. Come già affermato, il Carnevale di Cento rientra tra quei rituali collettivi annuali e come tale, ogni anno appunto, traguarda sempre gli stessi passaggi: sfilata allegorica, proclamazione del vincitore, lettura del testamento di Tasi e il rogo della sua maschera. Ma una volta superata l’ultima domenica, la società vincitrice si prepara per l’organizzazione del “funerale goliardico” alle società perdenti. I funerali celebrati dalle associazioni vincitrici infatti nei confronti di quelle sconfitte si traducono in una riappropriazione delle ritualità antiche del carnevale.

Considerati soprattutto pesanti scherzi di sapore goliardico, i funerali nella loro apparente diversità, rimettono tuttavia in gioco modi comportamentali che si inseriscono nel solco di una tradizione che non ha più sfogo nel carnevale-divertimento-folkloristico, ma si trasformano più o meno consapevolmente in un fenomeno goliardico nel quale la trasgressione ritorna a farla da padrone, ad iniziare dal rovesciamento dei ruoli. I cerimoniali seguono pratiche abbastanza similari: dopo l’affissione di un annuncio funebre, il corteo processionale, con tanto di cassa da morto si porta dal piazzale della Rocca alla Piazza, con una lapide portante i nomi delle società defunte. Non possono mancare ovviamente gli alti prelati concelebranti e popolazione in lutto con donne piangenti,
velate e di nero vestite.

Il percorso a tappe del funerale viene scandito dalla lettura di una zirudella, che non risparmia proprio nessuno, alternata a strofe cantate che riecheggiano canti funebri liturgici. I centesi partecipanti si godono questa satira, a volte pesante e condita da aspetti parodistici di grande effetto; mentre gli sconfitti devono fare buon viso a cattiva sorte, promettendo di rendere pan per focaccia l’anno successivo.

LA RIVOLUZIONE DEL CARNEVALE

Alla fine degli anni ’80 del secolo scorso da festa prevalentemente locale il Carnevale di Cento assume il profilo di grande evento dall’eco internazionale. L’organizzazione dell’evento carnevalesco nella destinazione Cento assume così le caratteristiche di un’attività strategica per la quale sono necessarie specifiche professionalità. Ciò accade nel 1990 quando il Comune di Cento, intuendone un potenziale in grado di garantire un notevole richiamo di visitatori, ne affida la gestione alla società dell’imprenditore locale Ivano Manservisi, Patron del Carnevale, che trasforma la kermesse registrandone il marchio, nell’altisonante e mediatico Cento Carnevale d’Europa. Questo cambio di direzione imprime una svolta significativa non solo nell’organizzazione e gestione ma anche per l’immagine dell’evento Carnevale. Dal 2014, la Direzione Artistica è passata nelle mani del figlio, Riccardo Manservisi, che attraverso le sue competenze e il suo essere visionario, ha saputo e riesce ancora oggi, a mantenere inalterata la tradizione dell’evento attraverso però un’ottica contemporanea.

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